Nonostante sia trascorso già più di un anno dal referendum sulla Brexit, con il quale i cittadini britannici hanno deciso di abbandonare l’Unione Europea, il futuro dell’Inghilterra rimane avvolto in una nube d’incertezza.
L’uscita del Regno Unito dall’UE non è ancora tecnicamente avvenuta, ma sono tante le persone che hanno iniziato ad avvertirne gli effetti.
Sebbene il motivo del referendum avrebbe dovuto essere tutt’altro, molti elettori hanno votato LEAVE per prendere posizione contro la presenza di un numero di stranieri in UK ritenuto eccessivo.
Londra, la città più cosmopolita del mondo, è rimasta parzialmente immune dal recente aumento di episodi di violenza nei confronti di immigrati, ma nel resto dell’Inghilterra, si è assistito ad un incremento delle aggressioni a sfondo razzista.
In una società come quella inglese, da anni legata alle rigide regole della politically correctness, in cui pensieri e opinioni devono essere formulati in maniera da non offendere nessun gruppo sociale, sembra che il Brexit abbia permesso al razzismo latente di manifestarsi in maniera più libera.
Molti expats, seppure non siano stati oggetto di abusi, sono concordi nell’affermare un cambiamento nell’atteggiamento di chi è ospite di questo paese.
Oltre a ciò, la situazione rimane incerta dal punto di vista legislativo. Il Governo inglese è stato molto vago sul futuro dei residenti stranieri provenienti dai paesi dell’UE. Sembra che il Primo Ministro Theresa May non possa o non voglia assicurare il diritto di rimanere nel Regno Unito agli immigrati europei e usi la loro condizione come moneta di scambio all’inteno dei negoziati.
Molti stranieri hanno deciso di correre ai ripari, richiedendo la cittadinanza britannica, mentre altri, preferiscono aspettare i prossimi sviluppi e agire di conseguenza.
Questa situazione mi ha spesso portato a interrogarmi sul destino dei miei figli.
L’esito del referendum ha influenzato il loro futuro? E’ difficile fare previsioni, soprattutto nel limbo in cui gli immigrati europei sono stati scaraventati nel giugno 2016.
Come un amico tedesco mi ha fatto notare, non basta un documento ufficiale che attesta la mia cittadinanza britannica, per essere considerata tale dagli inglesi. Una persona che non accetta la presenza straniera nel proprio paese continuerà a non accettarla a prescindere dalla presenza del documento di naturalizzazione.
Lo stesso discorso vale per i figli di immigrati ed è lecito chiedersi se le loro origini possano rappresentare una fonte di insulti o alienazione.
Subito dopo il referendum, i giornali hanno riportato episodi di razzismo nei confronti di bambini polacchi, avvenuti sia a scuola, che in strada. Una connazionale italiana, ad esempio, ha raccontato di essere stata “invitata” a tornarsene a casa, in presenza del proprio figlio.
Qualcuno potrebbe sostenere che siano i mass media ad aver ingigantito la situazione, nel senso che gli attacchi subiti dagli stranieri non sarebbero aumentati, ma sarebbe cresciuto l’interesse mediatico a riguardo.
La verità è che, al di là del razzismo, il semplice concetto di Brexit è una forzatura sulle spalle dei figli di immigrati, nel senso che i loro genitori hanno potuto trasferirsi in Inghilterra, anche grazie alla nozione di “libera circolazione di persone all’interno dell’Unione Europea”, che rischia di venir meno con l’uscita del Regno Unito dall’UE.
Sarebbe bello immaginare un futuro in cui il clima politico incoraggi i nostri figli a sentirsi cittadini del mondo, favorendo l’apertura verso popoli e culture diverse. Mi auguro che tutto ciò sarà ancora possibile, ma il messaggio lanciato dai “leavers” sembra essere tutt’altro.
Un mamma a Londra