Mi ricordo ancora di quando vincemmo la coppa del mondo nel 1982. Avevo quasi 4 anni ed ero in vacanza con la mia famiglia a Colle Isarco (BZ). Ho un ricordo un po’ confuso di quello che stava succedendo. Mi ricorso un sacco di uomini, incluso mio padre, che si abbracciavano a ogni goal e mio padre che mi sollevava come se fossi una versione con i capelli e le orecchie della coppa e Nando Martellini che urlava “Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo”. Da quel giorno iniziai a seguire il calcio professionistico. Come ogni bambino che si rispetti, iniziai a seguire la squadra che tifava mio padre e che allora era anche la più forte (parlo della Giuventus, se non l’avete capito) e iniziai a sognare di diventare un calciatore. Mio padre mi portava a prendere a calci un Tango dietro casa (per i meno esperti, il Tango era il migliore pallone di gomma in commercio e che raramente si bucava). Fino ai 10 anni volevo giocare per la Juve e anche per l’Italia. Poi ho capito che per varie ragioni che non sto qui ad enunciare tutto questo non sarebbe mai successo e ho assegnato al calcio un ruolo secondario nella mia vita. Poi arriva un giorno di mezza estate in una non precisata capitale europea, cinque rigori infilati alle spalle di un tipo pelato, ed ecco il delirio.
Sono cinque giorni che cerco di combattere la tentazione di scrivere un blog sulla vittoria dei mondiali. Non mi andava di cadere nel vortice di entusiasmo collettivo per un risultato, che seppur prestigioso, in fin dei conti non ci cambia la vita. Almeno che non siate uno dei 23 azzurri o un membro dello staff tecnico/medico, penso che gli effetti del quarto titolo mondiale non si siano fatti sentire in modo radicale sulle nostre vite. Si, mi sono fatto il bagno in Trafalgar Square, ho abbracciato chiunque incrociasse la mia strada la scorsa domenica e mi sono divertito a prendere per il culo tutti i “nonmangiaspaghetti” che conosco in questo paese. Dal mio capo alla mia vicina di casa, dal barista del mio pub (che è français) a tutti i miei amici in ordine alfabetico. Ora ho la mia vita e il mio lavoro. Che purtroppo o che fortunatamente (ancora non l’ho deciso) non consiste in prendere a calci un pallone. Ma per una notte. Per una notte soltanto. Il calcio è tornato ad essere la mia vita. Mi sarebbe piaciuto rivivere il 1982, ma purtroppo mio padre non era con me. Fra i fumi dell’alcol e l’estasi della vittoria però un pensiero è volato a lui e a tutto quello che rappresenta per me.
PS
Questo post è dedicato a mio padre. A volte penso che non riuscirò mai a dirgli quanto sia importante per me (anche se è un rompicoglioni di prima categoria).