Il giorno dopo, al mattino, usci´ il sole.
Si fece spazio tra le nuvole, che erano state spazzate via da un vento lento ma costante, la sera prima.
Il cielo era del chiaro colore azzurro estivo, e fu piacevole soffermarsi tra la gente sul marciapiede della St. John’s hill, e permettere alla pelle del viso di catturare e sentire i raggi diretti e forti prima di entrare in stazione.
Fu una giornata estiva e caldissima e, nel caldo sole, ebbi la sensazione che la gente all’incrocio fosse aumentata.
Non era solo una sensazione. In effetti, il bel tempo aveva spinto ad uscire molti.
Erano alcune settimane che cercavo di scrivere su Clapham Junction, ma non ci ero ancora riuscito.
Ricordo di averne parlato con Edi Bucci, la traduttrice di alcune mie poesie in tedesco, che ritengo una persona intelligente (soprattutto quando sostiene che per imparare una lingua non bisogna studiare Lingue, o per essere uno scrittore é meglio aver fatto altri mestieri), e di averla spinta ad esprimere le sue impressioni su Clapham.
Mi disse, con semplicitá, che qui c’é vita che non si ferma mai, e che si puó sentire se ci si cala dentro.
C’era qualcosa peró che non ero ancora riuscito a capire a fondo e che non mi era ancora chiaro.
Anche se eravamo d’accordo su molte cose, volevo capire di piú su Clapham Junction.
Volevo tentare di fissare le sensazioni che mi dava lo stare li´. Io volevo scrivere qualcosa di vero, che fosse corrispondente alla realtá, buono e sincero.
Cosi´ me ne andai nel pub che si trova all’incrocio, il ´´The Falcon´´, avevo un pó di soldi, e il vino francese della regione di Bordeaux che mi girava dentro dalla sera prima, mi dette un certo spirito per sentire l’aria fresca e primaverile di una sera d’estate londinese che mi portavo ancora addosso.
Me ne stavo sprofondato nelle comode sedie del salotto nascosto del pub, che é un pub molto bello – costruito ed adibito ad hotel nel tardo XIX° secolo – , perché il bancone di legno é un’isola circondata da colonne con capitelli corinzi che domina il centro del locale in modo che potete ordinare da bere ovunque vi troviate, e ci sono dei bellissimi vetri multicolori decorati e bombati, sul soffitto, sulle lampade soffuse, e tutto é molto suggestivo, antico e tranquillo e cosi’ british, e ricordavo come mi avevano fatto capire al lavoro che é molto meglio se parli poco, e stai defilato, tanto per non avere troppe grane e perché non sarai mai troppo buono a mentire, quando tutto fu chiaro.
Io volevo capire che cosa c’era a quell’ íncrocio, cosa mi attirava; e allora mi lasciai andare all’alcool e alla fine i pensieri si sbloccarono.
Avevo letto Hemingway, e in quel periodo stavo leggendo Wilbur Smith e Derek Walcott, e avevo imparato da Hemingway a provare le mie sensazioni, e ora cercavo di imparare qualcosa da uno scrittore da molti ritenuto il migliore scrittore di avventura vivente, e da un poeta che scriveva con un pennello, perché quando scriveva, dipingeva.
Ma una pagina di Hemingway ne valeva dieci di quelle di Smith. E un verso di Omeros, era un acquerello fresco di parole vergini.
No. Non che Smith non fosse bravo.
Per esempio, mi aveva colpito molto la sua capacitá nel descrivere la lotta corpo a corpo o con le armi, in una delle pagine piu scorrevoli del “Sulla rotta degli squali“, o le sue descrizioni degli agenti atmosferici, ma molte delle sue pagine non erano credibili.
Quelle pagine stavano appese come panni su un filo con poche mollette che non avrebbero retto al vento del tempo. Prima o poi, sarebbero passate inosservate o dimanticate – pensavo. E poi, non ti lasciavano granché, dopo.
Si, Avventure. Belle pagine di avventure. Ma si notava che lui aveva voluto ricreare personaggi hemingwaiani e io, che ritenevo di conoscerlo bene e di amarlo, me ne volevo liberare.
E poi, un significato deve pure esserci dietro le esperienze e le avventure. Altrimenti qual’é il senso vero delle azioni degli uomini ?
Questo solo Hemingway, mi sembrava, era riuscito a capirlo in fondo e a darcelo.
Io ho capito questo. Sembra che non ho bisogno di nient’altro a Clapham Junction.
Ed é una giusta impressione. Certamente non falsata dalla merce, spesso inutile, che i molti negozi all’incrocio vi possono offrire. Quella é roba per superficiali.
Sono soddisfatto a Clapham Junction. Perché é creola e rispecchia il concetto che ho in me e che sto sondando di Amalgamation.
Ho capito che pur essendo un posto qualsiasi é speciale perché sono le strade a farlo tale. E intendo dire la forma delle strade.
Cosi´speciale é il loro disegno, che gli edifici costruiti attorno, rendono la visione dell’incrocio, e non so se sia stata voluta da qualche progettista, asimmetrica e irregolare in qualunque angolo vi fermiate.
E´ un’ incrocio, ma con una caratteristica: il senso del movimento; perché tutto ció che si muove dentro, é in un modo o nell’altro, condizionato dal disegno delle strade, e dalla direzione che deve prendere a causa della loro forma.
Di notte, poi, sono le luci dei bars, i colori delle luci dei negozi, le luci della strada, che rendono l’incrocio suggestivo. Diverso, centrifugo. Frenetico.
Il colore predominante é il blu dei fari sul marmo bianco della torre con l’orologio, che si mescola alla luci gialle che illuminano la facciata circolare del ´´The Falcon´´, e alla luce dei lampioni stradali, che rendono l’ambiente sospeso, lunare. Il colore rosso matto dei palazzi crea un senso di oppressione e staticitá solo apparente che contrasta con il senso di scorrimento che l’incrocio stesso dá.
Ma sono le strade, i buses rossi a due piani, e la gente che dentro brulica e ci scorre, che fanno la parte principale del gioco di sensazioni all’ íncrocio.
E’ necessario fermarsi e sostare all’incrocio per capire e apprezzarne fino in fondo le sensazioni che questo snodo stradale puó dare all’animo attento.
Di sera, mi sembra che le sensazioni possano essere moltiplicate dall’effetto dei colori e dei contrasti.
La St. John’s hill é la strada principale dell`incrocio dove si affaccia l’entrata della stazione dei treni. (La stazione di Clapham é la stazione piú trafficata della Gran Bretagna. E’ una stazione costruita su piloni di ferro e cemento, e sorgendo su una collina, é elevata rispetto al piano stradale. Per questo motivo, quando vi trovate fuori della stazione avete la sensazione, che é poi reale, di trovarvi su un piano piú basso o qualcosa del genere ).
Se guardate verso destra, la St. John’s hill, la strada, é in discesa perché viene dalla zona collinare della cittá.
Scendendo dalla collina interseca in una maniera che é del tutto imprecisa ed irregolare con le altre tre dell’incrocio. La St. John’s Road, Lavender hill e Falcon Road.
Il gioco é fatto. Potete vederlo con gli occhi, ma i vostri sensi, sebbene non siano attenti, percepiscono. La sensazione che avete é quella di scendere e cadere verso un incrocio stretto ed angusto, ad imbuto. Invece, arrivati al centro dell’incrocio, dopo pochi metri, la strada torna a salire tirandovi fuori, e la forma del palazzo che é di fronte ai vostri occhi, con la sua curvatura ben delineata ma dolce, vi apre la visione prospettica, unendo ad un senso di dinamicitá-progressione, un forte senso di abbrivio verso la strada che avete di fronte a voi: la Lavender hill.
Anche le altre due strade, la Falcon Road e la St. John’s Road, non formano un incrocio perfetto, perché non sono in perpendicolare tra loro. Ed anch’esse non sono in pianura. Ma sono costruite su un leggero falsopiano che sembra condurvi e volervi spingere verso la Battersea rise e la Northcote. Cosi’ tutte queste, non sono solo impressioni che vivete a Clapham Junction…
Ho capito questo che non avrei mai dovuto iniziare a scrivere questo articolo al computer. Non é una buona lezione iniziare a scrivere al computer. Vi regala quella falsa possibilitá, che é un grande inganno, di pensare sempre di poter modificare ció che scrivete, di non buttar via nulla, e saltate da un punto a un altro della pagina elettronica abbagliato come una falena dalla luce. Non é cosi che si fa.
Vi induce in errore. Uno scrittore vero, uno buono, scrive sempre prima a penna, e quando la frase che vuole é giú sulla carta, é quella giusta e definitiva, che non va cambiata.
Cosi´ ho iniziato a diffidare di scrittori come Smith che sfornano libri. Sono quel tipo di libri che si leggono nella pausa pranzo, al lavoro o in treno. Il mondo é pieno di libri molto inutili e di scrittori molto brutti.
Un buon libro per me é sacro. Un buon libro non dovrebbe mai potersi leggere in treno e un buon lettore non lo leggerebbe mai. Mi sono reso convinto che per un buon libro ci vuole troppa concentrazione, non certo quella che si puó ottenere su un treno di pendolari del mattino o durante la pausa pranzo. E non capisco quelli che dicono di poter leggere dovunque e tutto. E’ come poter dire di poter mangiare in qualsiasi ristorante, qualsiasi piatto.
So che molti penseranno che un buon scrittore é colui che vende tanto, e i critici e le case editrici faranno di tutto per farvi credere che quel libro che tutti leggono é il migliore, e se non é buono, per quello scrittore costruiranno un Partenone affinché voi fedeli senza religione lo adoriate sui treni, su internet, nella metropolitana, sui bus. Ma uno scrittore serio se vuole scrivere un buon libro non punta al sensazionalismo. Non gli interessa essere famoso. Sa che la fama é una caramella per creduloni. Egli aspira solo ad essere un buon scrittore. E per ció che ne so io, un buono scrittore é colui che riconosce che la letteratura sta nella vita. E sbagliano di grosso coloro che percepiscono la letteratura su una sfera piú alta, staccata dalla vita e che pensano che lo scrittore sia un essere superiore agli altri uomini. Lo scrittore non é diverso dagli altri. Vede solo le cose e il mondo con occhio diverso. La sua vita é la letteratura, e lui vede il mondo con l’occhio di chi deve raccontare.
So che vi condanneranno perché quest’anno non avete letto ancora
The Da Vinci Code e non volete nemmeno leggerlo. Io, per me, in treno, mi interessano piú il paesaggio e gli occhi e i volti che incontro, e poi quando arrivo a casa preferisco starmene nella mia stanza e rileggere e tentare di capire alcune delle pagine piú belle di ´´Luce d’ Agosto´´ di William Faulkner.
Ho capito questo. Devo molto ai libri di Derek Walcott. Sono stato a St. Lucia, l’ isola dov’é nato. Allora, avevamo attraversato l’Atlantico in una settimana, ed era la prima volta. Ricordo che uscii dalla nave dove lavoravo, mi feci portar via 40 dollari per scappare da quel ferro da stiro galleggiante e feci il bagno in una cala color cobalto. Ai lati della cala, per la profonditá, il colore dell’acqua era di un verde scuro ed era l’ombra della Soufriére e della vegetazione tropicale. Il vulcano mi osservava, mentre il negro che mi aspettava anche lui osservava. Era tutt’ un mistero quell’isola e il suo sguardo conteneva il mistero della creolitá afro-americana.
Poi, un pó di giorni dopo trovai un suo libro. Ricordo il calore che scioglieva l’asfalto del molo. Allora con la nave eravamo a Charlotte-Amalie, United States Virgirn Islands, e il libro che non conoscevo, se ne stava su un tavolo di una libreria per turisti del porto. Io fui attirato dal suo formato piatto dell’edizione di Farrar, Straus and Giroux di New York, e dai colori tenui di un suo acquerello sulla copertina, ma non sapevo nulla di lui. Fu un amore improvviso. E c’era qualcosa tra noi che solo ora posso spiegare. Non fu solo una coincidenza. Era quel concetto di Amalgamation, di primitivo, puro, vergine, di creolo che io cercavo e che non avevo ancora capito. E non fu solo un caso se quel giorno, quel libro, lo trovai alle ’Isole Vergini’. Mi ricordo anche di Giuseppina. Ricordo i suoi capelli lunghi e neri incrostati da cristalli di sale, e la prima volta che appoggió la testa sulla mia spalla nel bus stipato mentre tornavamo da Megan Bay su una strada che si apriva a fatica tra palme e campi di banani.
Oggi tutte queste cose non ci sono piú, ma quel libro é ancora con me.
Venite a vedere il sole che tramonta e lame di luce come coltelli tagliano l’ombra a fette sulle palazzine basse della Northcote Road, alle sei della sera.
Venite a vedere il mercato, il sabato mattina presto: curioso, spiritoso e brioso, con quell’ atmosfera tutta francese che sembra Place de Italie a Parigi. Tutto é caldo, cosi´ vicino e familiare come il quartiere che avete sotto casa.
Se passate di qui, fermatevi nei bars a prendere un milkshake e al Tropical con precisione, dove la mia amica Ane Borrelli nella piena coscienza di essere nata creola trova i succhi brasiliani che ama tanto come se fosse al centro di San Paolo, e se li beve con un originale English breakfast servito da portoghesi, e prima di fermarvi, se avete qualcosa a cui ci tenete da farvi riparare, andate da Biku il miglior calzolaio indiano, ventiquattrenne con figlie e moglie a carico, piú simpatico ed educato che abbia mai conosciuto, che rimase con aria sorpresa quando gli dissi che io non ero ancora sposato.
Se siete abbastanza bravi, riuscirete anche a sentire il mare. Questo avviene all’uscita secondaria della stazione. Il vento che spira dal Tamigi che non é cosi´ tanto lontano (dista dieci minuti a piedi verso Battersea), e certi giorni é incredibilmente forte, porta l’odore del mare e del salino, e se vi piace, le vostre narici lo percepiscono e lo riconoscono. Lo sentite nell’aria e ve lo sentite addosso, come una presenza discreta. Non potete far altro che pensare che siete nella capitale mondiale del commercio e, a moli avvolti nella nebbia dove uomini in giacche di feltro blu attendono nell’umido il prossimo imbarco; e che anche voi eravate fra quelli, una volta.
Ho capito questo. Che una frase incisiva dice ció che serve dire, ma dice molto di piú:
“Questa é Clapham Junction.“ Qui ha origine l’Amalgamation. Non ci sono possibili imitazioni. Una frontiera per le vostre sensazioni. Mettetele alla prova.
This is London.This is Clapham Junction. It will never stop.