Mattina, ore 7.55, al solito binario l’orologio sotto la pensilina scandisce i secondi – click,clack,click,clack… Ore 8.04, passa il treno per Cannon Street, pieno di pendolari che leggono un libro o un giornale, le sensazioni attutite, annodate ad un ipod. Ore 8.15, a London Bridge le porte si aprono e rigurgitano una fiumana di gente, che brulicante si riversa a platform 6, giusto in tempo per la coincidenza. Voci meccaniche riempiono l’aria del mattino, orari, fermate, divieti. Si arriva al capolinea, ci si confonde in una miriade di gonne svolazzanti, tailleurs, giacche e cravatte, pesanti 24 ore, il contapassi legato alla cintura, i dreadlocks avviluppati sotto un berretto di lana. Tutti corrono, tutti si affrettano. Bisogna mettersi in fila per superare i varchi, pero’ ce n’e’ uno che non legge la Oyster Card, forse si fa ancora in tempo a raccattare un giornale gratis. Qualcuno prima di seppellirsi in ufficio passa per il parco, ancora umido della notte, con le anatre che dormono accanto al laghetto. Impiegati sportivi ed ecologisti evitano il treno e pedalano lungo il Mall con i vestiti buoni dentro a uno zainetto. Un lombrico fatto di taxi sosta al semaforo, i giardinieri tolgono i fiori secchi dalle aiuole. Un poliziotto assonnato al cancello, la fila per il bancomat, un cappuccino annacquato in un bicchiere di cartone, la tipa che fa jogging, i giapponesi stipati nei bus turistici, la filodiffusione in portineria, la voce stridula della mia collega, dalla cucina frittura e odore di caffe’, per fortuna non piove…ecco, si inizia…
Ore 18, per la prima volta dopo 2 mesi e 11 giorni, prendo la metropolitana per due fermate.