Ho conosciuto Paris Hilton tre giorni fa, in un Fried Chicken Store di Harrow Road. Lei era da sola, con un Cosmopolitan in mano, una coscetta di pollo rosicata in mano e lo sguardo sempre alla ricerca di qualcuno che la notasse. C’ero solo io davanti a lei, ma tanto è bastato per soddisfare la sua esasperata ricerca di attenzione; mi ha guardato più volte e dopo l’ennesima pagina sfogliata senza uno sguardo, si è avvicinata pulendosi l’unto delle dita sulla gonna.
“Hello, nice to meet you. My name is PARIS HILTON.” Io avevo previsto il suo passo ed ero convinto che, trovandoci a due passi dall’Hilton Hotel di Edgware Road, la sbarboncella si fosse convinta di aver davanti chissà quale miliardario eccentrico, chissà quale erede, ancora troppo giovane per vestire in abito e mangiare al ristorante, ma abbastanza maturo per lanciarle sguardi suadenti e magari soddisfare ogni suo capriccio.
“Nice to meet you Paris. My name is MILAN RITZ, but you can call me GIGI.”
I suoi occhi si sono illuminati. I miei pure nel vedere l’ennesima squinzia nella mia rete.
“How is your father?” mi chiede
“He’s fine. He met yours a couple of weeks ago. They are close friends, you know.”
“I know, I know.”
Quella sera abbiamo fatto l’amore nella suite dell’Hilton Hotel di Edgware Road e tra una cosa e l’altra, ricordandomi i suoi precedenti, ho scattato alcune foto coi poveri mezzi a mia disposizione, il mio Nokia 6610. Povera Parigi, convinta di stare a letto con un miliardario e invece in tasca avevo solo il resto di tre pound e sessanta datomi dal barista del Caffè Nero.
Il mattino dopo sono scappato dalla camera, appena mi sono ricordato le promesse di shopping milionario che avremo dovuto fare quella mattina in Bond Street. Le lasciai un biglietto:
“I lied, I’m sorry. RITZ is not my surname. If I said so, it was only because I got crazy for you. Love.”
Le ho lasciato poi la promessa di risentirci ancora, anche se convinto che, come spesso capita, nelle occasionali amicizie speciali di una notte, nessuno più ci avrebbe pensato.
Questo è quanto c’era da anticipare. Perché un’ora fa mi arriva una chiamata da un numero sconosciuto:
“Hello Gigi, I’m Paris.”
“Paris, Paris, are you that cashier who always looks at me? Second floor?”
“I’m Paris Hilton. Do you remember that crazy night in the suite?”
”Yeah, remember I have some pictures of that night.”
“Have you put them in the net?”
“No!”
”What are you waiting for?”
“What do you want Paris?”
“I’ve been always thinking of you since that night, Gigi.”
“Me too, but I lied to you.”
“I know, and I suffered too much for that lie. I thought you was another person, a V.I.P. as I am.”
“I’m sorry, but I wanted you!”
“Me too. But I want the truth. Who are you?”
“My name is Luigi…Benetton.”
“Is it true?”
“No, my name is Luigi…Berlusconi.” “No, mi chiamo Luigi Berlusconi.”
“Are you kidding?”
“Ok Paris, I’m only a stupid toys demonstrator for Hamleys, without any famous surname I gain in one year what you gain in one day. Is it ok?”
“Toys demonstrator for Hamleys. Are you from Italy?”
“Yeah!”
“Sardinia?”
“Yeah!”
“Are you the blogger of LA MEGLIO GIOVENTU’ RELOADED?”
”It’s me.”
“So, you are the friend of Robbie Williams and David Beckam?”
Ci penso su, perchè questa pollastra è tanto vuota in testa quanto gnoccola fuori e se me la mette in un piatto d’argento tanto vale porgere le mani. Rispondo:
“Yeah, of course! Robbie is one of my best friends!”
“I love you Gigi.”
“I love too Paris.”
Beh gente, con le pollastrelle come Paris Hilton basta semplicemente dar loro quello che vogliono. Eccola qui che dorme di fianco a me col sorriso sulla bocca. Le ho detto che presto le organizzerò un concerto di Robbie solo per lei. Dormi, dormi Paris. Sogna, sogna Paris.

Paris