Fino alla settimana scorsa Nick Costa era uno dei manager del negozio. Molte le voci mi sono arrivate da chi lo ha conosciuto: chi ne parlava bene, chi ne parlava male, chi ne parlava così così. Io, nel mio cantuccio di tre metri quadrati in cui dimostro il mio giocattolo, ho sempre pregato Santa Diana Spencer di non offrigli spunto tanto di un rimprovero, quanto di qualsiasi bottone da attaccarmi. In sette mesi il mio rapporto umano con Nick si è tutto centrato in un pollice alzato e nel suo saluto:
“Are you all right?”
Venerdì ha festeggiato nel locale Digress il suo ritorno in Australia. Io c’ero e per l’occasione mi sono tagliato i capelli, sbarbato di mattina e ho indossato la camicia, premurandomi di piegarla bene all’interno dell’armadietto. Giacca di velluto marrone, camicia verde a maniche corte, jeans e All Star rosse: un figurino.
Finisco di lavorare alle cinque e mi dirigo subito nel locale, dove mi unisco alla tavolata con parte del mio piano (Simon, Zamir, Tam, Tina) e altri tra manager e semplici aiutanti. Quando Nick Costa mi vede ha due bicchieri in mano, ne poggia uno sul mio tavolo e non capisco; poi mi porge la mano e allora sì, poggio io il mio bicchiere e gliela stringo. Alle otto il negozio chiude e il locale si popola di Hamleys staff. Alle nove ci saranno state almeno sessanta persone del negozio. Sempre a quell’ora una trentina di persone erano già cotte dall’alcol.
Sul mio sgabello osservavo i miei colleghi con il fascino di chi non realizzava ancora quale fortuna fosse quella circostanza, quel locale così cool, l’ingresso avvenuto alle sole parole “Hamleys party”, che come un Apriti Sesamo hanno spinto il buttafuori armadio ad aprirmi la porta. Ero pieno di inglesi in piena euforia, capivo una parola su cinque, ridevo quando loro ridevano, anche quando non avevo la più pallida idea di cosa si ridesse e quando lo capivo ridevo ancora più di gusto. Ho scattato foto a chiunque, mi sono ritratto con persone che non scorderò mai in vita mia, ho tirato Nick per il braccio e ora ho la foto con lui, Magda ha abbracciato Anna e ho una foto di due polacche che si baciano sulle labbra.
Senza la maglietta blu e i pantaloni neri con cui siamo costretti a lavorare, vestiti da sera, chi più, chi meno elegante, siamo bellissimi.
Magda e Hayley indossano vestiti dalla scollatura notevole. Le ragazze asiatiche del piano terra non sono più carine, ma deliziose. A noi ragazzi basta una maglietta firmata o una camicia per darci tutta un’altra aria.
Fuori dal negozio, liberi da quelle che sono le restrizioni imposte dal business, ci facciamo morire dalle risate. Pensavo che Simon, il mio floor manager, fosse serioso, ma Venerdì ha fatto imitazioni per cui ancora rido come uno scemo. Zamir è un amico, sempre col pacchetto di sigarette aperto verso di me e quando gli offro il mio cocktail lui fa spallucce e mi dice che da buon mussulmano non beve alcol. Magda e Anna sono due ragazzine, in giro per il locale come teenager nella loro prima notte in discoteca. Anders è un personaggio, svedese con la barba e i capelli lunghi biondi e il cappello dei Ramones sempre in testa. Phillip, l’altro mio floor manager, si è infilato dieci euro arrotolati in lungo nel naso. Agnuscha non la conoscevo, ma è una ragazza che a pelle mi ispira fiducia.
Prima di uscire ho salutato Nick con una forte stretta di mano. Gli ho augurato “Good Luck” e lui risponde con un “Take Care”. Esco col sorriso sulla bocca, mentre nel locale i ragazzi iniziano a ballare. Sono cotto anche io: cinque ore di sonno, otto ore di lavoro e sei ore di party alle spalle. Sei ore. Giusto per scalare la lista, non “il primo della lista” (lo sarò il giorno del mio, di leaving party), ma per uscire definitivamente dalla zona “ultimo dei puzzoni”. Cammino per Kingly Street e davanti all’ingresso staff di Hamleys, a voce neanche tanto bassa mi escono due parole e una risata: “CHE FIGATA!”
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