Incontro Marco Guazzone e la sua band “Stag” due volte in due giorni. Vado a sentirlo in un locale di Hoxton. Il giorno dopo me lo ritrovo nel locale dietro casa, il mitico Halfmoon di Putney, per una gig organizzata dal suo manager all’ultimo minuto. L’Halfmoon è uno dei locali storici della musica live a Londra, di qui sono passati tutti i grandi nomi quando grandi ancora non lo erano e ad ascoltarli erano solo qualche dozzina di persone.
Marco è italianissimo, ma le sue prime canzoni le scrive in inglese, imparato durante le sue estati a Londra dove ha alcuni parenti. L’anno scorso era tra le nuove proposte a Sanremo. E prima aveva aperto il concerto di Susanne Vega e Moby a Roma.
Susanne Vega, Moby, Sanremo, un disco che è uscito l’anno scorso e che è piuttosto andato bene. Davvero niente male. Facciamo però un passo indietro? Dicci da dove vieni fuori.
Ho iniziato a suonare nei locali, da solo. Andavo con la mia tastiera e lo stand, una faticaccia. Nel 2008 sono venuto a Londra e ci sono rimasto per un anno. Ho fatto un po’ di open mike nei pub, sempre solo voce e tastiera. Poi mi sono stancato di portarmi dietro lo stand e ho iniziato a presentarmi sul palco mettendo la tastiera sul pavimento e suonando per terra. La gente mi guardava strano, ma forse per questo la cosa piaceva. E’ stata un’esperienza magnifica.
Ma poi sei tornato in Italia.
Si, sono tornato in Italia e ho messo su una band, dovevo evolvere la mia musica. La formazione è cambiata parecchio, finchè siamo arrivati a quella attuale. Più o meno nel periodo nel quale abbiamo iniziato a lavorare con la Sunny Bit, la nostra etichetta (la stessa di Federico Zampaglione dei Tiromancino e Frankie Hi NRG)
Come vi hanno pescato?
Sono venuti a sentirci ad una delle serate, gli siamo piaciuti e ci hanno proposto di firmare con loro. Il produttore che mi segue è inglese con rapporti con l’Italia. In Italia ha lavorato con gente del calibro dei Depeche Mode, Paul McCartney e i Cure, in Italia con i Subsonica, Laura Pausini e i 99 Posse.
Dicci di Sanremo. Come è andata?
Sono arrivato quarto, è stata un’emozione fortissima. Già pensavo di aver fatto il massimo riuscendomi a qualificare tra i primi sessanta della selezione. Quando ho saputo di essere stato selezionato tra i sei finalisti non ci credevo.
Ma a Sanremo di canta in Italiano…
Si, ho portato il brano “Guasto”, in italiano. Ma non ho iniziato a scrivere in italiano a causa di Sanremo, lo facevo già da un po’ prima, anche se la lingua con la quale ho iniziato è l’inglese.
Il resto della band era con te?
Purtroppo Sanremo predilige i singoli. Però a dirigere l’orchestra dell’Ariston c’era Stefano, il trombettista/chitarrista della band. E’ stato il più giovane direttore d’orchesta della storia di Sanremo, solo 22 anni.
Strano mondo quello di Sanremo
Sai che la scala di Sanremo è finta? Quando le telecamere non ti inquadrano sali le scale e ti metti dietro un pannello della scenografia. Poi si spunta fuori come se uscissi dalle quinte e si scendono le scale. Incredibile. Comunque per l’edizione di quest’anno Fazio ha fatto qualche scelta interessante.. ad esempio, tra i big ci saranni i Marta sui tubi, davvero notevole.
E Moby? Avete aperto il suo concerto…
Moby è un grande. Per uno come me che suona il pianoforte è un onore aprire il concerto di uno che contamina il pianoforte come lui. E’ stato fantastico, c’erano migliaia di persone, non avevo mai suonato davanti a tanta gente così. A Sanremo sai di avere milioni di telespettatori ma non li vedi. Lì ce li hai davanti.
Roba da farsela addosso. Se non piaci il pubblico inizia ad urlare “Moby, Moby”, può essere dura.
Per fortuna non ci è successo, la gente sembra aver apprezzato la nostra musica. Moby ci aveva chiesto di dargli un taglio più elettronico e lo abbiamo fatto. E’ chiaro che il pubblico non viene per la support band. Sei messo a confronto diretto con la grande star della serata, non è facile. Ma è andata bene, siamo contenti. Moby è venuto a congratularsi, non potevamo chiedere di più.
Senti, parliamo un po’ di spazi per la musica emergente. Qui a Londra i locali con la musica live sono parecchi. Che mi dici dell’Italia?
Putroppo in Italia gli spazi mancano, è davvero dura per gli artisti emergenti. Per noi è stato importante un locale al Testaccio di Roma. E’ un locale aperto fino alle 4 di mattina che lascia esibire gruppi emergenti dopo quelli “resident”, una specie di jam session. Abbiamo iniziato suonando poco e tardi, dopo un po’ siamo diventati una delle resident band perchè la gente tornava a sentirci e il locale si riempiva. E poi Internet.
Blog, web radio, youtube… funzionano?
Si, almeno per noi ha funzionato. Abbiamo una buona presenza in rete, i blog scrivono di noi, le web radio passano i nostri pezzi. Il pezzo di Sanremo lo hanno passato anche i grandi circuiti nazionali come Radio 105 o Radio DJ. Ma la base di chi ci segue è fatta dalle persone con le quali abbiamo stretto un rapporto tramite Facebook, i blog e gli altri strumenti di Internet.
Tornetere a Londra?
Non abbiamo ancora una data, ma torneremo sicuramente. Intanto stiamo lavorando a cose nuove.. a presto!