Capita spesso di ripensare al primo mese a Londra, senza lavoro, coi soldi contati, pochi amici, pochissime certezze. Riflettendo su di me e sul gruppo di persone con cui allora condividevo il mio limbo tra la laurea e mondo del lavoro, scrissi questo:
Noi siamo personaggi di un film di Carlo Verdone, ragazzi sull’orlo di una crisi di nervi e coi problemi fino al collo. Io sono frustrato dalla ricerca di un lavoro che non arriva, A. inizia a sentire il peso di uno stage in cui lavora e non viene retribuita, I. lavora con un buon profitto, ma con troppa fatica e poche soddisfazioni.
Siamo repressi: C. da un ragazzo che vive a Roma e con cui nell’anno 2005 conta di vedersi tempo un mese in totale, G. da una fidanzata che vorrebbe e non c’è, A. da un ragazzo con cui convive ma che la trascura con il lavoro e per questo lei telefona al suo ex per chiedergli i suoi progetti carnevalizi.
Noi siamo personaggi di un film di Leonardo Pieraccioni: ventiquattrenni con un piede nel mondo della scuola ed uno in quello del lavoro, recalcitranti ad entrare totalmente nel secondo. A fine giornata ci ritroviamo al Caffè Nero come se fossimo in terapia di gruppo, con un cappuccino spruzzato di cioccolato a schiarirci la gola dalle nostre frustrazioni e una sigaretta di contrabbando a ricordarci di cinque anni di sigarette nei nostri bar universitari, tra una lezione e l’altra, ma più spesso tra la lezione saltata delle nove e la fine mattinata. Ognuno ha il suo quarto d’ora di sfogo, ognuno viene compatito, risollevato e soprattutto allievato nel suo dolore da quella legge per cui il mal comune è un mezzo gaudio.
Siamo tutto quello che temevamo di diventare quando, da universitari pigri e svogliati, pensavamo alla nostra vita di dottori. Doveri? Responsabilità? Sbattimenti? Porte in faccia? Eccoli nella città più popolosa d’Europa, dove i prezzi sono triplicati rispetto all’Italia, dove le culture sono triplicate rispetto all’Italia, dove le opportunità di carriera sono triplicate rispetto all’ Italia. Dove i doveri, le responsabilità, gli sbattimenti, le porte in faccia sono triplicate rispetto all’Italia. Siamo eroi che non-si-sono-voluti-accontentare, che siamo cresciuti con le note di Vasco Rossi, che crediamo che la vita può andare bene o male, ma l’importante sempre è sentirla scorrere dentro, anche se scorre miscelata agli odori orribili di questa città, al fumo corrotto delle sigarette di contrabbando turco, all’acqua di rubinetto potabile, che tra un anno, due anni, tre anni forse si scoprirà contaminata, ma ci avrà già fatto perdere le funzioni cerebrali per denunciarlo all’Evening Standard.
Questo era un gruppo di neo-laureati: Gigi, Anna, Caterina, Ivana, Francesca, Maria Sole, Mara. A Gennaio ero il più precario di tutti, l’unico senza lavoro, senza fissa dimora, senza padronanza della lingua.
Sono trascorsi otto mesi. Sono rimasto solo io.