Certa gente è proprio stupida.
Maglietta azzurra con scritta Hamleys, pantaloni neri, scarpe nere, spilla col mio nome, cuffia di Babbo Natale in testa come optional, scatola di giocattolo in mano. Eppure c’è chi si avvicina in negozio e dopo attenta ispezione della scritta Hamleys sulla maglietta e del nome Gigi disegnato sulla spilla mi chiede:
“Are you working here?”
Il mio sarcasmo trova pane per i suoi denti e a domanda stupida io oppongo risposta altrettanto stupida.
“Sometimes, you know…”
E mi trattengo pure, perché in pole position erano pronte pronte le seguenti:
“No, I’m working for Harrods.”
“No, I’m a customer and I like wearing Hamleys uniform.”
“No, I’m Santa Claus in civilian dress.
A proposito di Santa Claus, lo stiamo ospitando al terzo piano, ogni giorno dale dieci alle cinque. Hanno allestito la sala riunioni in maniera stupefacente: abeti innevati dipinti alle pareti, luci azzurre, una slitta parcheggiata piena di giocattoli, una renna peluche e una pseudo-roccia su cui Santa Claus siede, riceve i bambini e si fa scattare le foto. Ieri e oggi c’erano file di un’ora per parlarci, mi sono sporto un attimo e la scena davanti era simile a quella del Papa che riceve i fedeli, un Babbo Natale in occhialetti da vista che parla ai bambini, questi con una faccia in bilico tra il “Wow, Babbo Natale davanti a me, ora gli chiedo di tutto” e il “Appena esaurirò la mia lista che cosa avrò da dirgli?” Beata infanzia!
Ma il bello di queste cose sono i dietro le quinte. Mangiare in sala mensa e veder entrare questo vecchietto con la barba, i capelli bianchi un po’ ingialliti, vestito un po’clochard.
Io: “Who the hell is he?”
Mirka: “Santa Claus.”
Pochi minuti dopo salgono gli elfi, ossia i ragazzi che regolano le entrate e fanno le foto, ma Santa Claus è sempre in primo piano. Mirka mi dice:
“This man is always drunk.”
Io: “What? Santa’s drunk??!!
Sappiatelo, Babbo Natale è un alcolizzato.
Mona è una ragazza mussulmana (i veneziani si astengano da battute sul nome), un viso di bambola con occhi da cerbiatto, nasino piccolino, labbra carnose e sorriso fantastico. In questi due giorni da merchandiser, di vai e vieni tra il magazzino e il piano terra, eccola sempre lì davanti con il sahri che le scende sulla schiena. Ho come la sensazione di starle simpatico. Quando mi vede non è che sorride, ma ride proprio, come se fosse contenta e imbarazzata di vedermi ogni volta. Quando mi guarda da lontano la manina si solleva sempre e mi saluta, risata incorporata. Quando dagli scaffali si sposta alla cassa e io sistemo il muro di maiali posto di fronte, ho come la sensazione di essere osservato; avete presente quando sentite fisso uno sguardo anche senza vedere nulla? Infatti appena alzo il mio la vedo assorta nel mio lavoro logistico insieme alla collega, come se…avete capito insomma, come se mi avesse appena segnalato. Fatto sta che ci penso ad un eventuale uscita con questa ragazza (due anni fa arrivai molto vicino a baciare un’altra mussulmana qui a Londra) anche se so come funziona da quelle parti, me l’ha spiegato il mio amico Shah quando gli ho chiesto:
“Ma se una ragazza cristiana o non mussulmana ci provasse con te, tu ci staresti?”
Lui mi ha risposto con un’ombra di rimpianto negli occhi:
“No, non possiamo.”
Io ho iniziato ad animarmi, perchè con lui seguivo tutte le stanghe che giravano per il piano, stanghe di ogni colore, e da una persona di tale piglio (nonchè di buon gusto nel seguire le stanghe più stanghe che girassero per il piano) io questa remissività non la potevo accettare.
“Ma se è gnocca, proprio gnocca e te la mette in un piatto d’argento, tu non fai nulla??”
L’ombra di rimpianto si è oscurata:
“No, ma non è un problema, ci sono talmente tante belle ragazze mussulmane.”
Ecco, come un amore può nascere già infranto per colpa di Allah; ci sono tanti di quei bei ragazzi mussulmani…
Non si finisce mai di imparare.
Ieri un cliente mi chiede:
“Do you have a budger?”
Io so che è cortesia chiedere “Sorry” quando non si capisce, so anche che è molta cortesia chiedere “Pardon”, ma dopo aver sistemato la cinquantesima scatola di cane capriolante, ho risposto come mia nonna quando non sente:
“Ahhhhhhhhhhhhhhhh?”
“A budger.”
“Bad…budg…whaaat?”
Lode al cliente commiserevole:
“The budger is the animal symbol of England.”
Ahhh, ora è tutto chiaro.
“How does it look like?”
Me lo descrive con la riga bianca in mezzo al muso e io penso se la puzzola possa veramente essere l’animale simbolo di questa nazione.
“No, we dont have budgers in the store.” Zero puzzole, mi dispiace.
Volo da Mirka, Mirka è l’esperta di peluche, se c’è una puzzola peluche lei lo saprà sicuramente.
“Mirka, who the hell is a bagg?”
“What?”
“I don’t know, is the symbol of England.”
“A budger!”
Fa due passi e prende da uno scaffale un animale che, da come appare, nella sua scatolina del mio cervello ha attaccata l’etichetta ornitorinco.
“Valli a capire ‘sti inglesi” penso “tra tanti animali si devono scegliere l’ornitorinco come simbolo.”
Ho appena cercato nel vocabolario. In realtà budger è il tasso. La sostanza non cambia: che razza di simbolo nazionale è un tasso?