Uno dei palliativi a certe giornate uggiose e fredde, specie in quelle che sembra sera anche alle 10 di mattino, è la simpatia con cui la città condivide il sonno della mattina, la stanchezza della sera e qualsiasi tipo di malumore. Si parla della simpatia intesa come compassione, partecipazione al dolore altrui; l’altra simpatia, ossia la tendenza a suscitare il sorriso, è un filo sottile che solitamente si denomina umorismo inglese e che è facilmente ritrovabile nel 90% delle pubblicità inglesi.
Prendiamo per esempio quella parolina che in una giornata qualunque, intendo giornata scandita da andata e ritorno in metropolitana e camminata per qualche via mediamente affollata, ci si sente rivolgere almeno tre volte: SORRY. Prendiamo la situazione tipica da SORRY inglese: io cammino in mezzo alla folla, una persona incrocia il cammino senza toccarmi e, come ovvio, rallenta di poco il mio passo, ma tanto basta per scatenare l’istinto regrettoso:
“SORRY”
Il minimo motivo per sentirsi in colpa in Inghilterra è camminare e incrociare il percorso di qualcun’altro. Ma il meglio mi è capitato in negozio. Esco dallo spogliatoio a razzo, una ragazza attraversa il corridoio, io le passo di fianco senza rallentare, lei mi nota e…”SORRY”.
Ho pensato:
“Perché, dimmelo perché ti senti in colpa? Stai solo camminando, io sto solo uscendo, non mi hai dato nessun pestone, che bisogno c’era?”
Ma se tanto dava tanto, giocando fuori casa, così ho risposto:
“SORRY!”
Ricordo benissimo le due lettere che mi arrivarono a casa le prime settimane a Londra, una da Waterstones, l’altra dalla British Library. Mi comunicavano che non avevano bisogno di nessuno, ma che avrebbero tenuto in considerazione il mio curriculum in vista di future vacancies. Lettere strazianti, mancava solo la sbavatura di inchiostro provocata dalla lacrimuccia:
“We were interested in your skills and experience (e ci mancava altro, 110 e lode in Lettere Moderne con tesi in Letteratura Inglese) but regret that at the current time we have no suitable vacancies. Thanks you once again for your interest in Waterstone’s and I wish you every success in your search for employment. Yours sincerely…”
Io ci son rimasto male ovviamente, ma non ho mai capito se l’ho presa peggio io o la gentilissima Lynne del recruitment centre. By the way Lynne, il tuo augurio è servito, nel mio piccolo ho trovato il mio successo, uno dei migliori lavori cui potessi sperare.
Infine dedicherei quest’ultimo spazio alle infinite forme con cui l’inglese si preoccupa della tua salute:
“Aiuduing man?”
“How are you today?”
“Are you all right yeah?”
“Cool yeah?”
“What’s happening?”
E in questo tema vi racconto di un ragazzo che lavora al quarto piano e parla il classico inglese slang sincopato (spero capiate di cosa stia parlando quando parlo di inglese slang sincopato). Credetemi, ci sono giorni che lo vedo dieci, quindici volte e ogni volta, ogni ogni volta, ma proprio ogni fuckin volta, lui mi fa:
“You all right yeah?”
Io penso sempre:
“Sì, d’altronde è da due ore che lavoriamo uno di fianco all’altro e dico, non è che ingoio chiodi o varecchina come lavoro, dimostro solamente e se succedesse qualcosa, tipo che mi fratturi un dito o che mi licenzino, saresti il primo a notarlo.”
Ma se tanto da tanto, giocando fuori casa, così rispondo sempre:
“Good good. You?”
Lui: “Cool.”
Cool? Stai davvero cool? MA VA!
Chiamateli politically correct, chiamateli formali, chiamateli come volete: io li adoro.