Tornare in Italia per le vacanze di Natale causa sempre uno fastidio cerebrale. Il “Natale con i tuoi” dovrebbe essere un momento di relax e di spensieratezza, ma spesso così non è.
Per me e forse anche per molti che vivono all’estero come me, è spesso un’occasione di riflessione e confusione. Una scossa che rimette in discussione le poche certezze che pensavo di avere acquisito. Sentimenti contrastanti, incasinati, un vero pasticciaccio.
Tutte le volte che torno in Italia per un breve periodo, mi rendo conto di come, dopo sette anni di permanenza a Londra, oramai si sia modificato il mio modo di pensare rispetto a quello dei miei amici che sono rimasti in Italia. Sento che, a parte qualche felice ma rara eccezione, si è creata negli anni una differenza nel modo di percepire gli avvenimenti e di affrontare la vita che rende la comunicazione a volta impossibile o a volte futile. Mi rendo conto che un eventuale ritorno in Italia sarebbe un nuovo “culture clash”, farei una fatica del boia a riadattarmi a molte cose.
Allo stesso tempo, ci sono cose che continuano ad affascinarmi dell’Italia. I rapporti tra le persone hanno ancora quella spontaneità che gli inglesi hanno cancellato centinaia di anni fa, costruendo una “etiquette” sociale dove, ad esempio, l’eye contact genera imbarazzo e va evitato come se fosse un calcio sui denti. Ad attrarmi sono le cose lente dell’Italia, la passeggiata sotto i portici, l’espresso al banco, l’aperitivo. Mi piacciono le cose che non sono state ancora codificate e rese uniformi come in UK, come i banchi del mercato, i negozietti con il vecchio che è sempre lui da 50 anni, il bar con i tavoli di formica in montagna. E non è nostalgia, ma apprezzamento e comprensione di quanto queste piccole differenze rendano la vita di ogni giorno più piacevole e rallentino un po’ il ritmo a cui la nostra cultura occidentale vuole farci andare. E anche di come queste piccole cose, quando vengono messe insieme, definiscano quello Italian way of life che oggi Londra vuole copiare.
Già, però non faccio in tempo a godermi il piacere di un espresso al caldo del bar in una Cuneo gelata questo inverno, che il mio pensiero si sposta ad una delle tante discussioni avute con gli amici che sono rimasti in Italia. Storie di datori di lavoro padroni che abusano della loro posizione, salari miseri e a volte pagati in ritardo, posti di lavoro ottenuti grazie alla zia dell’amico del fratello dello figlio del sindaco. Roba che Londra ci ha fatto dimenticare e che purtroppo invece da sempre ha caratterizzato l’Italia (e che a mio avviso tocca record mai visti oggi).
E allora continua sempre questa altalena dei pensieri e dei sentimenti. E, in fondo, sarebbe strano se non fosse così. Ho passato i miei primi 28 anni in Italia e gli ultimi 7 a Londra. Amo questo paese e amo Londra a cui devo tantissimo per aver realizzato alcuni dei miei sogni, soprattutto quelli lavorativi. Ma allo stesso tempo sono italiano e quei ¾ di vita passati in Italia hanno definito gran parte di quello che sono e l’Italia ce l’ho scritta nei geni.
E a voi capita mai questa altalena dei pensieri?