La panchina del parco. In Italia un oggetto utile, alquanto banale, alle volte piacevole alla vista, ma nulla piu’. Quassu’ invece, in questo Paese che ha tante piccole sorprese nascoste, anche le panchine sono qualcosa di speciale.
Quassu’ le panchine, ogni tanto, parlano. Parlano di persone che non ci sono piu’. Macabro, si potrebbe dire. Io lo trovo, invece, bellissimo. Gia’ nelle panchine dedicate a qualcuno c’e’ un pensiero tenero e gentile: questo qualcuno amava, evidentemente, il parco o anche solo lo starsene seduto in panchina e gia’ questo lo rende mio amico, mio complice nella simpatia per i parchi o per i piccoli semplici ozi che sono il sale della vita. Qualcun’altro, che gli vuole bene, lo ricorda in questo modo, piu’ generoso e utile e caldo di qualunque fredda e imbarazzata lapide di una tomba. Soprattutto di quelle nostre, nei nostri cimiteri cinti da alte mura per tenere i morti lontano dai vivi, perche’ sara’ anche vero che noi Italiani siamo allegri e solari ma davanti alla morte, di regola, ce la facciamo allegramente sotto lo stesso; mentre Inglesi e Tedeschi vivono a contatto quotidiano con le loro tombe, per cosi’ dire se le tengono in salotto…..
Le panchine inglesi, dunque, alle volte parlano. E parlando di cose dell’aldila’, alle volte dicono cose interessanti. Mi siedo sulla panchina attirato dalla allettante prospettiva di un breve e gratuito ozio, dico una breve preghiera per il mio – come mi piace pensare – amico e complice e come mi avviene ogni tanto, penso. Penso a cosa mi dice la panchina.
La panchina mi dice – meglio, mi sussurra piano piano, cosi’ piano che per ascoltarla devo concentrarmi solo su di lei dimenticando il mondo, i problemi, i pensieri, me stesso – che il mondo e’un armonico concerto di nascite e di morti; che oggi siedo io sulla panchina, ma un giorno un altro siedera’, anche lui allettato dal riposo, e dira’ anche lui la sua breve preghiera e poi un altro e un altro…. E’ come un passaggio di testimone, un silenzioso e gentile richiamo al gioco universale: nascite, vite e morti che si susseguono e si intrecciano e nel quale siamo tutti misteriosamente legati assieme, anche solo per il minuto nel quale siedo nella panchina dedicata alla defunta signora che e’ mia Amica o al defunto signore, il Complice. E a me, che per essere un cinico sono alquanto un sentimentale, piace – da sentimentale – inviare un sorriso alla signora, mentre mi chiedo – da cinico – se da viva non sara’ stata un’insopportabile vecchia strega….
Ma alla fine non mi interessa, perche’ il cielo e’ azzurro, la brezza piacevole e viene il giorno nel quale non si e’ piu’ ne’ streghe, ne’ cinici ne’ sentimentali, ma si e’ e basta.
E proprio mentre ci penso, la morte (io non la vedo, ma so che e’ lei) viene e mi si siede delicatamente accanto. Non la morte astratta, asettica e generalmente innocua che riguarda gli altri e della quale si ascolta il distante e quotidiano lavoro in tivvu’; ma proprio la mia, la mia personalissima morte, la morte di me medesimo che dovro’ morire, eh si’, dovro’ morire molto ma molto in concreto…..
Essa si siede accanto a me e mi sussurra un fatto che io avevo sempre evitato di considerare ma che lei, adesso, mi notifica con la cortese freddezza di un ufficiale giudiziario: un giorno, un reggimento di piccoli, strani e non gradevoli animali banchettera’di me. Ma sulla panchina siedera’ un altro e dira’ una preghiera, sotto il cielo azzurro, mentre la brezza gli accarezzera’ il viso dagli occhi chiusi……
Memento mori, dice la panchina. Alla fine, lo dicono tutte. Ma stranamente io non sono arrabbiato con loro, anzi…..Sbaglio, o il cielo ora e’ un po’ piu’ azzurro? Forse non sbaglio, perche’ il vento porta via le nuvole. Forse sbaglio, perche’ ormai la panchina mi parla e io, zitto zitto, ascolto.
La panchina mi dice che il cielo, sopra le nubi, e’ perennemente, splendidamente, amorevolmente azzurro e che sono solo io, che scelgo di concentrarmi sul sottile strato di nuvole e lo chiamo, alle volte, “grigio”; che tanti si sono seduti su di lei e non hanno visto il parco, non hanno sentito la brezza sul viso, non hanno ascoltato il canto degli uccelli…. eppure c’erano tutti, tutti in fila per lui!….che tanti hanno preferito sedere sulla panchina e vedere i loro problemi, sentire i loro odi, ascoltare la voce del rancore o dell’invidia o del grande e terribile nemico, la paura.
A me piace, parlare con le panchine (vi stupite? C’e’ tanta gente che nel parco parla da sola tutto il tempo, ma nessuno dice niente solo perche’ li’ vicino c’e’ un cane….). Alcune sono estremamente loquaci. Me ne ricordo una con l’iscrizione che diceva circa cosi’: “Finalmente, Caio, una panchina tutta per te!” Dalle date di nascita e morte si intuisce – o forse l’ho immaginato io, sara’ stata la mia parte sentimentale – che Caio e’ morto alquanto giovane e Tizia e’la sua vedova. Una panchina profonda e tenera, mi sono detto anche se non c’era nessun cane nelle vicinanze. Mi stava perfino per scappare la lacrimuccia, ma era ovvio che la panchina non voleva; non era certo li’ per quello, lei, tutt’altro…
Quando una panchina mi parla e mi ispira, io mi ci devo sedere. Intanto la cosa solletica la mia naturale pigrizia, poi mi serve per vedere se per caso…. eh si’, eccoli li’ di nuovo i miei amici, non manca nessuno: il canto degli uccelli, il cielo azzurro, gli alberi che si stagliano magnifici contro il cielo, il refolo di vento che accarezza la guancia….. come ho potuto dimenticarmene ancora…… ma gia’, ero avvitato di nuovo nei miei problemi, concentrato sulle nuvole, vagamente cacciato da sottili, ma insistenti paure; finche’ una scritta su una panchina non mi ha detto “ehi…pss…si’, tu… piantala, di occuparti sempre di te stesso….non e’ divertente e non e’ nemmeno cosi’ costruttivo…… non lo vedi come e’ bello, il mondo? Non vedi come tutto passa, lasciando sopra di se’ un cielo perennemente, splendidamente, amorevolmente azzurro?”
Come e’ bello, il mondo. Come e’ azzurro, il cielo. Come e’ sciocco, non dare retta alle panchine. Tra quaranta o cinquant’anni (facciamo sessanta, va…) il gia’ citato reggimento di piccoli, strani e non gradevoli animali dara’ luogo al suo inevitabile banchetto, che io nel frattempo mi sia preoccupato oppure no. Quel giorno, preferisco sapere di aver dato ascolto alle panchine che mi parlavano nel parco. Preferisco vivere con lo spirito che ho letto una volta in una panchina, che e’ rimasta la mia preferita e che diceva all’incirca:
tu che passi, riposati qui e pensa a chi, qui, e’ stato felice.